lunedì 20 maggio 2013

La torta delle tre mele



Ve lo chiedo, miei cari: con tre mele si può? Per rispondere è giusto fare ricorso a degli illustri esempi paradigmatici del nostro memorabile passato. Quando penso ad una mela mi viene subito in mente quel frutto rosso che Eva addentò per prima, secondo la Bibbia: fortunata, lei, ad essere stata la prima a gustarne la sua succosa bontà. E allora mi chiedo: chissà quale delle tantissime varietà del globo avrà assaggiato la nostra first woman? Passando dal sacro al profano, il pensiero approda ad un reame antico, dove una mela avvelenata è stata a ragione resa nota al mondo da un gruppo di fratelli strampalati e amanti delle fiabe: quella di Biancaneve è di sicuro una mela rossa, dal fascino disarmante, ma dalla forza mortale ed avvincente. E cosa dire, invece, del povero Guglielmo Tell, che dovette colpire con una freccia una piccola mela posta sul capo del suo spaventatissimo figliolo? E poi mi ritorna in mente la mela della discordia, quella che fece strappare i capelli ad un gruppetto di splendide divinità dell'Olimpo, troppo viziate e troppo presuntuose, da ritenersi, prima che qualche Regina Cattiva ne reclamasse il titolo, le più belle. Beh, che dire: da tutti questi esempi questo frutto ne ha combinate delle belle! Litigi, morti, leggende, sonni profondi, ferite al cuoio capelluto, perfino il peccato originale! Che ci sia, fin dalla notte dei tempi, una congiura contro la Mela? Me lo son chiesto davvero. Ma no, ma no, non è proprio così, mi son detta. Mela vuole anche dire novità (pensate alla Apple!), vuol dire opportunità (pensate alla "Grande Mela", una New York tutta da addentare) e vuol dire scoperta (vi dice qualcosa quel geniaccio di Newton?). E poi, se proprio vogliamo dirla tutta, la mela è un frutto succulento, dissetante, curativo, che può, da solo, sostituire una merenda, completare appieno un pasto giornaliero. 


Dopo averne mangiate a sazietà, in questi giorni, stamattina ne ho trovate soltanto le ultime tre (anche i miei figli hanno svuotato la dispensa, adorano la frutta!). E mi son detta: che cosa m'invento con queste tre mele? Secondo i paradigmi di cui sopra avrei potuto: 1) avvelenarne qualcuna e regalarla ai noti parenti serpenti (no, non sono così crudele, andiamo!); 2) addentarle tutte e tre e soffrire le doglie del parto (ho già contribuito ben due volte nella mia vita, quindi penso che basti, perdinci!); 3) metterne una sulla testa dei miei figli e cercare di infilzarla con una forchetta (e se gli cavassi un occhio? No, meglio non farlo); 4) usarle per scoprire qualche nuova legge fisica o astronomica (magari fare luce su quei neutrini così presuntuosi da credere di viaggiare più velocemente della luce); 5) gettarne una nel bel mezzo di un banchetto nuziale e far adirare tutti i presenti (buona idea, ma sarà per un'altra volta). Oppure, pensandoci bene, 6) potrei preparare una fantasiosa ma semplicissima Torta delle tre mele (già il nome è tutto un programma, giusto?). Bene, allora non vi resta che vedere come è venuta. Ma non preoccupatevi: non è soporifera, né istigatrice di liti divine, né colma di cianuro. Anzi, secondo me è buonissima. E ditemi: con tre mele, si può?


Ingredienti
- 4 uova medie
- 250 gr di zucchero
- 300 gr di farina 00
- tre mele Golden
- scorza grattugiata di 1 limone
- 100 ml di olio di girasole
- 1 tazzina da caffè di latte
- 1 bustina di lievito per dolci
- 1 bustina di vanillina
- 1 pizzico di sale
- zucchero di canna q.b.
- burro q.b.

Preparazione. Prendete due ciotole. Nella prima sbattete le uova con lo zucchero. Nella seconda mescolate la farina, il sale, la vanillina, il lievito. Tornando alla prima, aggiungete, mescolando con le fruste elettriche, l'olio, il latte e la scorza di un limone. A questo punto unite il contenuto delle due terrine, ma non fate smontare il tutto (usate una spatola). Tagliate una delle tre mele a pezzetti piccoli e aggiungetela a questo impasto. Foderate di carta forno uno stampo di circa 24/25 cm di diametro e versate il composto. Sbucciate e tagliate a rondelle le due mele restanti, quindi coprite la superficie della torta con esse. Spolverate le mele con dello zucchero di canna e mettetevi sopra anche qualche ciuffetto di burro. Infornate a 170° per circa trenta minuti. Sfornate e bon appètit.



martedì 14 maggio 2013

Taieddhra con orata, patate e zucchine



Le cozze no. Lo ripeto, perdindirindina: le cozze no. Quando ho scoperto quale era stata la scelta di Cristian, vincitore del mese scorso, per la sfida di maggio, sono stata ben contenta della scelta del suo piatto salentino, a me sconosciuto e per questo interessantissimo, ma dal profondo del cuore ho tirato fuori un rifiuto viscerale: le cozze no. Non è che non mi piacciano (anzi, potessi mangiarle di nuovo ne farei una scorpacciata!), è che ne sono allergica. Un post di qualche mese fa era proprio incentrato su questo, ma, date le circostanze, sento il dovere di riparlarne. Inizialmente entusiasta ed euforica, colta da un fremito da pre-MTC, sono diventata subito ansiosa e preoccupata: temevo che, a causa delle maledettissime (e buonissime, ahimè) cozze, sarei stata costretta a rinunciare alla sfida. Eresia, dolore, disperazione! Non sia mai, non ho nessuna voglia di saltare un MTC, mica si scherza su 'ste cose serie. Con furia scellerata, in preda ai brividi di terrore, ho letto rapidamente il regolamento del mese, con le direttive sulla possibile "contaminazione" della ricetta proposta dal vincitore, sperando con tutte le mie forze che le cozze non fossero obbligatorie. Poi, l'illuminazione, la salvezza, il respiro di sollievo: "Le cozze", ho letto quasi urlando per la felicità, "potete sostituirle". Non mi sono mai sentita così grata nei confronti delle organizzatrici dell'MTC, sempre attente alle intolleranze, sempre precise nelle spiegazioni e sempre accurate nelle loro scelte. E, grazie al cielo, ho potuto anche questo mese fronteggiare l'adorabile sfida dell'MTC, anche senza le cozze, emblema di un ricordo poco simpatico. In effetti, il tema di maggio è proprio il ricordo. 


E quale migliore peggiore ricordo del momento in cui, d'improvviso, gonfiai come una mongolfiera piena di elio? Non è propriamente un ricordo "da ricordare", ma immaginatevi la scena: state mangiando con i vostri cari e, mentre date forchettate capienti al piatto di pesce con crostacei molto invitanti, cominciate a gonfiarvi come un palloncino da bambino, facendo concorrenza ai sommergibili propagandistici o alle più belle bambole gonfiabili (paragoni per nulla rassicuranti). E poi correte in ospedale e, nel tragitto, non vi riconoscete guardandovi allo specchietto. E poi i controlli e poi lo "sgonfiamento" graduale e progressivo, dopo le punture dei dottori. Un'esperienza poco invidiabile, che le cozze mi hanno fatto rimembrare. Ma non con tristezza, s'intende: mi fa sempre molto ridere ricordarmi in quello stato, dovevo essere molto ridicola, in effetti! In ogni caso, anche senza cozze, la mia taieddhra mi è piaciuta tantissimo. Ammetto che, dopo l'esperienza "intollerante" con gamberi e crostacei vari, ho riscoperto e apprezzato sempre di più pesci nobili ma sanissimi: qual è uno che adoro? Ma certo, l'orata! Poche spine (perché grandi ed evidenti) e filetto prelibato. Così mi son data da fare anche stavolta, mettendo un po' di me stessa pur nel rispetto della variegata tradizione salentina. 



Ingredienti
- 200 gr di riso Roma
- 4 patate medie
- 2 orate fresche
- 1 cipolla grossa
- 2 zucchine medie
- 4 pomodorini di Pachino
- manciata di grana 
- peperoncino q.b.
- rosmarino q.b.
- sale q.b.
- olio extravergine d'oliva

Per il brodo di pesce
- testa e lisca delle orate
- 1 carota
- sedano
- alloro q.b.
- 1/2 cipolla
-  pizzico di sale
- Prezzemolo q.b.

Preparazione. Cominciate dalle orate. Sfilettatele e ricavatene quattro filetti puliti e senza pelle. Estraete le possibili spine con la pinza. Mettete da parte. Con le teste e le lische, assieme a carota, sedano, cipolla, alloro, sale e prezzemolo, preparate un buon brodo. Quando è pronto, preriscaldate il forno a 160°. Tagliate allora a rondelle le cipolle, le zucchine e le patate. Mescolatele insieme con olio, sale, peperoncino e rosmarino tritato finemente. Ungete il fondo della pirofila (di coccio se l'avete) con l'olio e fate uno strato con le verdure. Sciacquate il riso in una scodella e fate uno strato sottile sopra le verdure. Mettete anche i pomodorini tagliati e adagiate i filetti, in questo altro strato. Versate tre mestoli di brodo. Spolverate con il grana e fate un altro strato di verdure. Completate il tutto con un altro po' di formaggio grattugiato e irrorate di olio extravergine d'oliva. Infornate a 160° per circa un'ora e mezza. Quando si crea una buona gratinatura superficiale, la taieddhra è pronta. Bon appètit.


Con questa ricetta partecipo alla sfida di maggio dell'MTC, la Taieddhra




martedì 7 maggio 2013

Profumo di Sicilia: Spaghetti alla siracusana



Penultimo appuntamento della rubrica Profumo di Sicilia: il viaggio alla scoperta di un po' di cultura culinaria siciliana è già agli sgoccioli. Uffa, non mi fate scendere la lacrimuccia, suvvia: lasciamo questi colpi di scena per il prossimo mese, che sarà l'ultima volta in cui vi inviterò a seguirmi nei meandri di un'assolata via di barocchi profumi, antiche tradizioni e accesi sapori mediterranei. Mediterranei come il primo piatto di questo mese. Ma no, signori e signore, non corriamo, non corriamo: si facciano le cose per bene, si vada per ordine. La città che "ci ospiterà" questo mese è Siracusa, fiore all'occhiello della Magna Grecia e illustre punto di riferimento culturale e artistico siciliano e italiano anche oggi. Come al solito, non faccio panegirici o elogi scontati, ma mi soffermo su alcuni elementi che di questa città mi ha sempre colpito e continuo ad ammirare. Mi preme segnalare un emblema della grandezza del passato, che si cerca di mantenere anche oggi con passione e creatività, ossia la tradizione delle Rappresentazioni classiche al Teatro Greco, organizzate dall'INDA. Io vi sono stata parecchie volte e non vi dico che emozione: rivivere quest'esperienza viscerale, assistere alle tragedie intramontabili o alle commedie comunque attuali, è qualcosa di unico. L'atmosfera del Teatro di Siracusa è impagabile, sedere su quei gradini vetusti, con il venticello delle sere di maggio (come queste) e il tramonto alle spalle, mi rendono ogni volta orgogliosa di questa città, che ha saputo far tesoro di un patrimonio artistico che, turisticamente e culturalmente, è davvero eccelso ed importante. (Si vede proprio che mi piace Siracusa, eh?). Ma non bastano le tradizioni, la mitologia, l'arte: c'è anche il paesaggio ad essere mozzafiato. Passate da Ortigia, passeggiate sulla costa, andate al mare. Ci tengo a riferirvi che anche Siracusa è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità da parte dell'UNESCO: ecco un altro vanto siciliano, un altro vanto italiano. 


La cucina siracusana, com'è naturale, risente delle specialità siciliane per eccellenza (quali arancini, frutta di Martorana, granite artigianali, cannoli alla ricotta e molto molto altro), ma non mancano di certo piatti più rinomati e locali, di cui Siracusa rappresenta il punto di originaria formazione, poi diffusa in tutta la regione, come gli occhi di Santa Lucia (paste di mandorla in onore della santa patrona), le Zeppole (salate, con acciughe o ricotta), e perfino la caponata, davvero gettonata in questa zona. Due grandi simboli naturali dell'agricoltura e della cucina siracusana sono certamente il limone di Siracusa (rigorosamente IGP, mica bazzecole!) e i pomodori di Pachino, rubini tanto deliziosi. Proprio questi ultimi ho voluto usare nel piatto rappresentativo di Siracusa: mi piace il colore, rosso-Sicilia, mi piace la consistenza, la minuta bontà. Indecisa tra vari piatti che avrei potuto presentarvi questo mese, ho optato per un primo piatto che, come vi dicevo, ha il Mediterraneo dentro di sè: ci sono i colori accesi (giallo, arancione, rosso, verde, nero) e ci sono i sapori decisi e armoniosi (il carattere dell'oliva, la sfumatura del peperone, la dolcezza del pomodoro, la salsedine dei capperi e dell'acciuga, la caparbietà della melanzana). E' un piatto di pasta molto diffuso a Siracusa, soprattutto per l'uso di alcuni ingredienti, anche se ne esistono varianti molto diverse tra loro: c'è chi mette qualcosa, c'è chi ne toglie un'altra; si è immersi in una continua interpretazione, in una originale innovazione, in una fantasiosa ricerca del remix, della varietà, che io, personalmente, adoro. Perché? Perché la cucina siciliana s'evolve così, e non è mai la stessa, perché sempre cambia, perché sempre cresce il suo valore. Gustatevi 'sto piattino: eccovi servita un'altra fetta di Sicilia. 


Ingredienti (per quattro persone)
- 300 gr di spaghetti (o vermicelli)
- 200 gr di pomodori di Pachino
- 1 peperone giallo
- 1 melanzana
- 40 gr di capperi sotto sale
- 15 olive nere denocciolate
- 2 acciughe sotto sale
- 1 spicchio d'aglio
- sale e pepe q.b.
- 1/2 cucchiaino di zucchero
- basilico q.b.
- olio extravergine d'oliva q.b.

Preparazione. Mettete in forno il peperone a 200° fino ad abbrustolirlo su tutti i lati. Ponetelo in un sacchetto di plastica per alimenti e chiudete: lasciatelo intiepidire. Togliete la pelle e privatelo dei semi. Tagliatelo a piccole striscioline. Mettetele da parte (questa operazione può essere fatta anche il giorno prima, per avere tutto pronto). Tagliate a cubetti la melanzana, friggeteli e adagiateli su carta assorbente. Mettete anche questi da parte. In una padella mettete l'olio extravergine d'oliva (circa cinque cucchiai), l'aglio (che toglierete), le acciughe dissalate e spezzetate. Soffriggete per qualche minuto. Aggiungete i pomodori tagliati a pezzi e lo zucchero. Fate cuocere per alcuni minuti. A questo punto aggiungete i capperi dissalati, le olive nere tagliate a metà, il peperone a strisce e i cubetti di melanzana. Aggiustate di sale. Cuocete per qualche altro minuto. A questo punto il vostro condimento è pronto. Nel frattempo fate bollire l'acqua in una pentola: versate gli spaghetti e cuoceteli al dente. Scolateli e metteteli nella padella col condimento. Mescolate bene, continuando qui la cottura. Pepate. Servite con qualche fogliolina di basilico. Bon appètit. P.s. Io non l'ho fatto, ma, se volete, potete benissimo grattuggiare sopra dell'ottimo pecorino (gnam!).

sabato 4 maggio 2013

Gustare un profumo: Pancakes alle zagare



La delicatezza di un profumo inebriante. Il giardino punteggiato da stelle candide, che splendono al Sole pallido di Primavera. I petali trasportati dal vento, che con un soffio li disperde, in lontananza. I fiori delle arance, le zagare del mio giardino, mi riempiono di gioia: questo è il momento dell'anno in cui l'aria profuma davvero di vita, di natura, di verità. Non c'è smog che tenga, né fumo, né inquinamento che possano infrangere la magia di questa fragranza. Ma durerà per poco, vedo già i fiori diminuire, i petali giocare con il vento, un gioco troppo pericoloso, emblema del tempo che scorre, del ritmo incessante della natura, che mai s'arresta, mai riposa. E verrà l'estate, e andrà via il profumo. Ma resterà nella pelle l'essenza di una Primavera splendida, come queste zagare. Poeticamente coinvolta e quasi emozionata, ho voluto portare questi fiori anche nella mia cucina. Sì, sono commestibili e, facendo qualche ricerca (mentre c'ero, mi toccava!), ho scoperto anche che sopratutto le zagare hanno effetti vitalizzanti formidabili (contro il nervosismo, la stanchezza e problemi digestivi). Per i bambini sono ottime, per garantire un sonno più tranquillo. E' diffusa inoltre l'estrazione di un olio essenziale alle zagare, detto "neroli", dal cognome di una duchessa che amava a suo tempo profumarne i suoi guanti. E io, come li ho usate questa comete profumate? Li ho messe nei pancakes. Comete nei pancakes? No, zagare nei pancakes! Lo so, è un po' strambo, ma di sicuro originale e, vi assicuro vi giuro credetemi, il risultato è magnifico: riuscirete magicamente a "gustare" un profumo. Il mio piano era proprio questo: un'altra mission (im)possible, praticamente! Quando ho addentato il primo pancake (il primo che io abbia mai preparato da me, d'altronde!) ho gustato quel profumo, ho sentito un sapore fruttato che a parole non potrò mai spiegarvi appieno. Mi ha lasciato senza parole. La ricetta è veloce almeno quanto il "divoramento" a cui ho assistito, quando, a colazione, li ho presentati ai miei cari. Se aveste la possibilità, vi invito a provare: assaggerete un profumo col palato, per la prima volta. E non sarà mai l'ultima.


Ingredienti
- 150 gr di farina 00
- 1 uovo
- 100 ml di latte
- 40 gr di zucchero
- manciata di zagare
- miele di zagara q.b.
- 1 cucchiaino di lievito per dolci
- 1 pizzico di sale

Preparazione. Sbattete le uova con zucchero, latte, farina, lievito e sale. Mescolate bene per unire bene tra loro tutti i vostri ingredienti. Immergete i fiori delicatamente in un po' d'acqua (giusto per pulirli), ma non fateli sciupare e adagiateli poi su carta assorbente. Prendetene soltanto i petali e versateli nell'impasto. Mescolate. Su una padella antiaderente, ben riscaldata, adagiatevi un po' di impasto, preso con un mestolo della grandezza che preferite. Voltate il pancake quando vedete le bollicine, usando una paletta per aiutarvi. Cuocete ambo i lati, facendo attenzione a non bruciarli: è una cottura velocissima, di pochi minuti. Sistemateli su un piatto, magari uno sull'altro. Sciogliete il vostro miele, dandogli la consistenza che volete. A questo punto versatelo più o meno abbondantemente sui pancakes e gustateli preferibilmente caldi. Bon appètit. 










Con questa ricetta partecipo al Contest: Quick e Easy


Con questa ricetta partecipo al Contest: Colori in cucina



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